Ad essere precisi forse sarebbe meglio chiedere “dov’eravate nel 1996?”, perché se i giapponesi ebbero l’opportunità di ammirare Ghost In The Shell nel cinema dal 18 novembre 1995, noi italiani dovemmo aspettare l’anno successivo, quando Polygram Video portò il film nel nostro paese in formato VHS (eh già…) e con un adattamento “discutibile”, in quanto ispirato a quello della versione americana, anch’esso non privo di lacune e imprecisioni.

Io a quei tempi frequentavo l’Università ed ero solito trascorrere molti sabati pomeriggio da Yamato, un negozio supernerd di Milano che trattava (e tratta tutt’ora, visto che mi pare sia ancora esistente) fumetti, manga e anime ed era ovviamente popolato da personaggi spesso borderline e bizzarri. Per molti lettori più giovani sarà difficile farlo, ma provate a contestualizzare: anno 1996, internet è ancora semisconosciuto (almeno per chi non guardava Gaia de Laurentiis e Target, l’unica trasmissione buona mai creata da Mediaset), il supporto fisico più diffuso è la videocassetta, persiste ma rischia di sbiadire il ricordo di Akira (classe ’88), che aveva radicalmente trasformato il cinema di animazione giapponese, si legge Lodoss, splendida rivista dell’epoca, che rappresenta l’unica fonte di approvvigionamento per notizie e approfondimenti relativi a manga e anime. Bello scenario eh?

Ghost In The Shell mi travolse come l’onda hokusaiana di un mare impetuoso. Ricordo me stesso seduto sulla poltroncina della mia camera, cuffie ben strette sulle orecchie, restare affascinato dal corpo cibernetico di Motoko Kusanagi, estasiato dalle incredibili animazioni delle sequenze che aprono e chiudono il film e di quella memorabile parentesi che inizia dopo mezz’ora, contrappuntata dalla colonna sonora di Kenji Kawai, che mostra una città futuribile (il film è ambientato nel 2029) ma sporca, piovosa, tecnologica ma non troppo, in una parola bladerunneriana.

Sicuramente l’opera di Dick e il film di Scott avevano influenzato parecchio sia Masamune Shirow, autore del manga originale, che Mamoru Oshii, regista della versione cinematografica, lungometraggio che diede poi il via ad una serie infinita di altri “prodotti” (sequel, remake, videogiochi, serie animate) fino ad arrivare alla oramai imminente versione live action hollywoodiana. Rispetto a quelle pietre miliari però, Ghost In The Shell riesce se possibile ad essere ancora più pervasivo e inquietante. La frase che chiude il film, pronunciata dalla bambina “nata” dall’unione tra Motoko Kusanagi e l’hacker noto come il Burattinaio, una intelligenza artificiale autocosciente “La rete è vasta e infinita” ghiaccia il sangue nelle vene se si pensa a quando è stata pensata e scritta.

La quantità lorda di tematiche, argomenti, riflessioni e spunti presenti in Ghost In The Shell è stupefacente, specie se si pensa che il film dura solo 80 minuti e molti di questi sono silenziosi o “solo” splendidamente musicati. Si passa così senza soluzione di continuità dalle riflessioni sulla percezione dell’essere alla distopia fantascientifica, dall’avvento della pervasività della Rete agli innesti cybernetici (contento Musk?), dai dilemmi etici, sociali e politici legati alla creazione di un’intelligenza artificiale al tema della vita e della morte.

Filosofia e fantascienza, azione e pensiero: Ghost In The Shell pone molte domande allo spettatore, forse troppe, tant’è che ai tempi, proprio come Blade Runner, non riscosse un gran successo di pubblico in patria. Furono gli Usa ed il clamoroso successo in home video a trasformarlo (proprio come Blade Runner, again), in cult-movie da vedere a tutti i costi.

Per Ghost in the Shell bisogna ringraziare in primis Masamune Shirow (vero nome: Masanori Ota) che nel 1989 diede con quest’opera una ideale conclusione al dittico cyberpunk formato da Appleseed e Dominion, ma soprattutto Mamoru Oshii, un regista anticonvenzionale, capace di creare il più bel film di sempre dedicato a Lamù (l’incredibile Beautiful Dreamer, un capolavoro assoluto e purtroppo assai poco noto) e altri “istant classic” minori come Patlabor e The Sky Crawlers, che diede forma ad un film-profezia di clamorosa spettacolarità visiva e coraggiosamente strabordante di contenuti.

Ghost In The Shell è stato pre-internet, pre-Matrix, pre-social, pre-tutto ma i suoi temi, la sua densità e la sua complessità sono e resteranno attuali chissà per quanto altro tempo.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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